| Sembrava scritto nel suo destino: troppo genio, troppi eccessi, troppo oltremisura. È stato tutto «troppo» nella breve vita di Amy Winehouse. Morta a 27 anni, sola nella sua casa di Londra, forse un'overdose, forse un suicidio ancora non è chiaro, ma poco importa. Figlia fuori tempo massimo di una tragica tradizione del rock stardom; 27 anni come Jimi Hendrix, 27 anni come Janis Joplin, 27 anni come Jim Morrison. E 27 anni come Kurt Cobain, ultimo fragile «martire», anno 1994, l'ultimo credevamo...
Amy, ebrea inglese di umili origini, con la musica aveva iniziato a flirtare presto. L'esplosione a 23 anni, di fatto con il suo unico album «Back to Black» ( il primo «Frank», passò piuttosto inosservato): un talento puro, voce bianca più nera che mai, il soul del secolo XXI. Già più nera che bianca , una nuova Aretha Franklin, ma non un'epigona, capace di riattualizzare un discorso sopito, annegato negli Usa dalle afroamericane vere nel commercialismo spicciolo della r'n'b. E anzi lei divenne presto modello: Amy la stella assoluta aveva generato centinaia di stelline (Adele, Duffy, ecc) e l'esangue discografia britannica vi si era buttata a pesce. Sembrava che ogni settimana ci fosse una nuova Amy Winehouse, mentre l'Amy autentica si consumava velocemente.
Perché Amy è stata incapace di replicare, di dare una seconda chance al suo estro. Con la morte sembrava flirtare: usciva ed entrava dalle rehab, le cliniche di disintossicazione, faceva ormai parlare di sé soltanto per le sue mattane. Oramai annullava concerti in serie, l'ultima tournée cancellata, parliamo di nemmeno due mesi fa, dopo un'imbarazzante esibizione a Belgrado, dove non stava letteralmente in piedi. E l'inizio di un percorso senza ritorno già visto anche in passato. La trafila luttuosa prevede che gli amici siano preoccupati: «Beveva quantità esorbitanti di vodka nelle ultime settimane» riferivano ai tabloid inglesi. E il fine corsa è una morte solitaria, paradossale per chi viene adorato da milioni di persone.
Ora si prevede la trasfigurazione, il mito come i 27enni di cui sopra. Chi muore giovane vive per sempre, e non è retorica. Già ci si aspettano dischi celebrativi, fan che si moltiplicheranno in serie. Sul suo sito di facebook, non si contano i de profundis dei seguaci, aggiornamenti ogni secondo, i .r.i.p, e «ti avremmo potuto salvare». Quel che rimane è che Amy non c'è più, la più talentuosa cantante della sua generazione. E avremmo volentieri fatto a meno di trasfigurazioni, di mitologie postume: non c'era bisogno di aggiornare la galleria dei 27.
(fonte: corrieredellasera.it)
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